Vittorino Andreoli: La mia corsa nel tempo

Vittorino Andreoli, psichiatra di fama internazionale, ha presentato stamattina a Pordenonelegge la sua biografia, un archivio, ma non fisso, non statico. “E’ una storia in continua costruzione”, spiega “pensare che la memoria sia una specie di deposito dei ricordi è sbagliato. E’ in continua elaborazione. Anche quello che abbiamo depositato dentro di noi con le esperienze successive si sposta, associa a cose nuove la sistemazione dei sentimenti. La memoria fondamentale non è quella dei numeri o delle date, ma il significato emotivo e affettivo. E’ il luogo della ricerca, dove si va a vedere chi si è stati, un viaggio”.

Il discorso si concentra sull’importanza della memoria: Dovete darle spazio, raccontarla”, incoraggia “mi rivolgo soprattutto alle persone anziane. Non sto parlando di “giovanilismo”, quel voler essere giovani da vecchi e vestirsi con i blue jeans aderenti, parlo dell’orgoglio di essere arrivati ad un’onorevole età. “Sono vecchio e voglio vivere la mia vecchiaia”, è un capitolo della vita che và raccontata. Raccontate ai giovani la vostra storia. Anche le difficoltà, anche la povertà. Serve per educare le nuove generazioni”.

Pordenonelegge 2016 - Davide Franchini MULTIMEDIA www.davidefranchini.it
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Si transita fluidemente sul piano sociologico: Questa società dove il denaro è la misura dell’uomo a me non piace”, confida. “Sentire che i vecchi sono da rottamare, che sono un peso economico è rinunciare alla saggezza. Alla radice del futuro dei giovani. Agli esempi. Soprattutto i vecchi che non sono stati nessuno. Amo i nessuno”. “Anch’io sono nessuno”, dice “non chiamatemi intellettuale, oggi la città ne è piena”.

Racconta di sé con gran umiltà, di un uomo che è appartenuto ad un altro tempo, ad un’altra generazione. “Ho cercato di inseguire ciò che era sempre davanti a me. Il mio “io” ideale. Come diceva Freud c’è una differenza tra l’”io” attuale a quello che vorrei essere e vorrei essere stato. Cerco di rincorrere sempre quello che non ho ancora fatto. Scriverò qualcosa di nuovo tra vent’anni, verrò a presentarlo qui, spero avrete tempo di venire, io ci sarò di sicuro”. “Schopenhauer insegnava “Ricordati uomo, distingui chi sei da quello che hai e da quello che rappresenti per gli altri”. E’ questa l’identità. Il raggiungimento di un “io” ideale all’interno di un labirinto”.

Dopo un saluto alla moglie, “ho davanti a me gran parte della mia vita, sono sposato da 49 anni” avverte “nel mio libro non c’è la mia vita sentimentale. I sentimenti sono legami, coinvolgono anche un’altra persona, la relazione è un rapporto minimo a due, non me la sento di parlarne pubblicamente”. Ma di sentimenti parla eccome. “Abbiamo bisogno di sentimenti e legami, di essere amati. Anche a costo di diventare ridicoli, che in fondo è la proiezione di quello che vorremmo: protezione, essere voluti bene, essere capiti. Amare prevede una rinuncia alla libertà, ma è irrinunciabile. Oggi abbiamo perso il gusto dei sentimenti, dei legami, ci affidiamo alla virtualità, siamo legati a qualcuno ma quella persona non c’è, non è qui, è dall’altra parte del mondo”, afferma dichiarandosi non contrario a internet quando serve alla vita umana e non se ne sostituisce.

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Un ragazzo uccide i genitori per anticipare l’eredità. E’ successo molti anni fa e quella è stata la mia svolta professionale. I mass media si attaccano alle etichette e io sono diventato quello che si chiama per i casi estremi”. “Non lo riesco a capire, il successo. E’ uno stigma che ti attaccano sopra e non puoi fare altro che usare quella falsa identità, “è un falso sè”. Pirandello diceva “uno, nessuno, centomila”, oggi c’è chi viaggia con il borsone pieno di identità. E’ una società in maschera, si cambia personalità in base a chi si ha davanti. Si vorrebbe essere diversi per piacere di più agli altri, si ha paura di mostrare le proprie fragilità, confondendole con la debolezza. Le mamme sono impaurite di fronte ai figli timidi: qual è il problema? Non se ne può più degli invincibili, del “forte a tutti i costi”, che società è una dove bisogna sempre correre, mostrarsi? Inclusi gli psichiatri, considerateli ma non amateli. Piuttosto andate tutti in vacanza 8, 10 mesi l’anno, la società sarebbe migliore”.

Lo sforzo della mia vita è stato quello di migliorare la vita è stato il tentativo di migliorare quella di chi è considerato matto. La follia è una sofferenza. Non di un organo, è il dolore di esistere. Ti pare di essere sempre tra estranei, non ti capiscono”. “Quando ho iniziato la mia carriera i matti erano in manicomio. Il primo che ho visitato è stato quello di Verona, mi ha accompagnato il direttore convinto di impressionarmi . Ma io, dopo averlo visto, non potevo più staccarmi dal dolore. La psichiatria studia la relazione tra l’”io” e il mondo. Nessuno può essere valutato singolarmente, nessun uomo è un’isola”. Forse anche la società, dunque, ha le sue responsabilità oltre al singolo. “Ho scritto la storia di una società che ho vissuto, amato. Mi dispiace vedere la crisi che sta attraversando oggi. Buttiamo via tutto di noi, a partire dalla scuola della ragione, fondata sul dubbio. Perdiamo la memoria, anche quella semantica, il linguaggio è sempre più ridotto. C’è bisogno di ritrovare il mistero, quello che fa parte di qualcosa che riguarda la nostra condizione e che non sapremo mai”.

S.P.