Il conflitto politico nell’era dei populismi: Luca Ricolfi



“Ovunque in Occidente il popolo cerca protezione dalle conseguenze della crisi e dalle fragilità dello scenario globale, ma la sinistra inevitabilmente impegna le sue energie per sminuire i problemi che gli elettori percepiscono come principali: disoccupazione, politiche di austerità, immigrazione, terrorismo. Non è quindi così strano che il populismo si proponga come risposta, per quanto sommaria e inadeguata, alle angosce del presente”.

L’esordio di Luca Ricolfi, noto sociologo italiano e professore di Psicometria dell’Università di Torino nel suo dialogo con Roberto Papetti, direttore de “Il gazzettino, non delude la presentazione dell’incontro come da programma di “Pordenonelegge”.




Ricolfi cita i cosiddetti “populismi”, spesso tacciati, “erroneamente” precisa, di xenofobia e razzismo. “In realtà è l’opposto. Mentre i totalitarismi fanno della supremazia razziale un mito, nel populismo la tendenza è pacifista e non interventista”.

 

Ricolfi ricalca il messaggio già sentito in più occasioni in questa edizione di Pordenonelegge ricca di temi attuali e scottanti: “c’è una grande domanda di protezione da parte della gente. Il popolo avverte un gran senso di insicurezza economica e sociale, la disoccupazione e il timore della criminalità destabilizzano”. I populismi sanno intercettare questa esigenza, probabilmente più di quanto sappia fare la sinistra, che forse in fondo non esiste nemmeno più.



“Con il miracolo economico abbiamo assistito alla scomparsa del mondo popolare e siamo diventati società industriale”.

 

“Sono finiti i contesti urbani e il costume, i modi di vestire diversi, i dialetti, come sosteneva Pasolini. Abbiamo assistito ad un velocissimo sviluppo, in Italia come in Giappone e in Spagna. Non è un caso: quando un Paese viene distrutto come è successo a noi con la seconda guerra mondiale, poi ricostruirlo è più facile, cambiano tutte le tecnologie”.



“La sinistra, che era nata come difesa del proletariato, ha cambiato il suo DNA intorno al ’63. E’ stato un mutamento lento e impercettibile fino agli anni ’70, poi Berlinguer ha lanciato il compromesso storico, un’alleanza tra il proletariato e i ceti medi. E’ avvenuta la “cetometizzazione” della sinistra italiana. Intellettuali, studenti, insegnanti hanno iniziato ad essere di sinistra ed essa ad occuparsi delle questioni urbane, segnando un passaggio cruciale e irreversibile.”

 

“Andando verso gli anni ’80 la società italiana ha conosciuto il consumismo di massa, 2/3 degli italiani erano benestanti, ma vivevano al di sopra dei propri mezzi, il debito pubblico è salito”.



“Negli anni ’90 la sinistra si occupava di autorealizzazione, delle esigenze dei ceti medi, aveva perso la sua vena progressista. La soluzione al problema erano gli immigrati, gli ultimi”, il tentativo per riattrarre i consensi proletari, ma è entrata nella fase lenta del declino, fino ai giorni nostri, dove si assiste ad una richiesta sempre più incalzante di destra che illusoriamente con i suoi leader carismatici trasmetta un’idea di sicurezza.

 

Si conclude con una speranza, l’incontro con Ricolfi, “i milligrammi di buonsenso della politica potrebbero avere effetti anche sull’elettorato. Perché, prima o poi, a vincere è sempre il senso comune”.

 

SP