E’ questo l’album che vogliamo davvero?


Ok, è ufficiale: IO ODIO ROGER WATERS!

Avete capito bene, lo odio perché ogni volta che ascolto una sua canzone rimango impietrito da quanto ha ragione, ogni volta che leggo un suo testo mi viene da piangere, ogni volta che sento un suo urlo sofferente mi emoziono, ogni volta che percepisco quel suono in quel punto ben preciso capisco che non poteva stare altrimenti se non in quel posto, eh si, maledetto Roger Waters.

When We Were Young

L’inizio del disco catapulta subito nell’atmosfera floydiana: battiti del cuore elettronici alla “the Dark side of the Moon“, voci allineate e incomprensibili che poco alla volta si comprendono sempre di più. La voce recitante è proprio quella di Roger Waters che nel classico ma non banale salire di enfasi, recita un sunto della sua vita e di quello che pensa:

“…Quanta innocenza e crudeltà passava sotto le forche caudine per i primi fermenti negli spogliatoi di MaggioDove sei ora? Non rispondereSono ancora bruttoE tu ancora in carneIo ho ancora i brufoliE sono ancora preoccupato…”

La traccia che non introduce anche il disco, ma anche la canzone successiva dicendo: “I nostri genitori ci hanno reso quello che siamo, o è stato Dio? Che cazzo ci frega, non è mai davvero finita.”

Sarà banale, sicuramente lo è, ma gli intro di questo genere a me hanno sempre lasciato a bocca aperta.



Déjà Vu

La canzone che nella sua semplicità di accordi riesce ad entrarti dentro ed incantarti. “Deja vu” musicalmente parlando è una “Mother” e “Wish you were here” modernizzata e ricalcata, una ballad perfetta che non ha bisogno di altre descrizioni.

Per quanto riguarda il testo non è la prima volta che sentiamo in una canzone “Se fossi stato Dio, avrei fatto un lavoro migliore“, anzi, mi ha ricordato Gaber su “Io, se fossi Dio”, il punto è che non sai se piangere o incazzarti e quindi non scegli e fai entrambe le cose.

Quanta verità in questa canzone, ma soprattutto quanto Roger, quanta amarezza, una culla verso una verità vuota che è la nostra umanità. Attenzione, non è “solo” protesta, ma uno spogliarsi di noi stessi.

L’urlo di Roger Waters e il suo cambio di tono, la bomba e le voci da guerra, tutti piccoli elementi che sappiamo non sono MAI a caso, rendono “Deja Vu” a suo modo perfetta.

“Il sole tramonta e tu continui a mancarmi, contando i costi di un amore che è andato perduto”

The Last Refugee

Prima dell’uscita del disco, come terzo singolo, è uscita questa canzone con annesso video di Roger Waters e Sean Evans, che dire? Stupendo sia dal punto di vista tecnico che della sceneggiatura.

“E sognai di direAddio alla mia piccolaLei stava dando un’ultima occhiata al mare”

Un brano quasi ipnotico dal punto di vista del ritmo, minimale al punto giusto che ho dovuto ascoltare più volte per concepire completamente, il testo parla dei rifugiati, di chi scappa e di chi arriva, ma anche come metafora del partire e del lasciare qualcosa. Qui la voce è così dolce che mi vorrei emozionare, ma il momento in cui l’ascolto non me lo permette mai.

La batteria forse in questo pezzo come in “The most beautiful girl in the world” ci sta meglio che nelle altre canzoni, ritmicamente è la più semplice, a me ha ricordato qualcosa di “Radio K.A.O.S“.



Picture That

Uno dei primi brani (singoli a parte) che mi è piaciuto di più di primo impatto, non è come dice qualcuno “una semplice cover di Sheep” in quanto io ci sento molti echi non solo da “Animals” ma anche da “Amused to death” per esempio. In un certo senso è anche un controsenso parlarne qui e condividere questa canzone, concepita dallo stesso Roger Waters quando ha scoperto che molte persone ai suoi concerti dell’ultimo tour di “The wall” non guardavano il concerto dal vivo ma attraverso il cellulare per riprenderlo, da li poi ha allargato il senso.

“Incollato a uno schermo nello stato del NevadaSeguire il sogno diventa sempre più difficile”

Un ritmo incalzante che ti prende fin dal principio e che lascia da una parte l’amaro in bocca nella parte finale, nessun assolo, o meglio poche note che ti fanno solo immaginare quello che avresti potuto “inserire”.

“Picture that” è il primo bravo veramente incazzato dell’album ed una vera e propria chicca discografica, la voce è sempre la stessa, acre e dura, scarna fino alle ossa, un gioiellino che non si dimentica facilmente.

Broken Bones

Qui si piange e altro non si può fare, fin dai primi ascolti ci ho sentito il primo album solista “The Pros and Cons of Hitch Hiking“, quello che mi fa impazzire sono le chitarre che stridono con la voce urlante di Waters, in quei punti veramente si raggiunge l’estasi.

“Scegliemmo invece di aderire all’abbondanza, Scegliemmo il sogno americanoE oh, Signorina Libertà, Quanto l’abbiamo abbandonata..”

Forse uno dei brani più intensi anche se non “facili” come Deja Vu, mi ha ricordato anche “The Final cut” con quel modo di cantare classico di Waters molto affranto, arrabbiato e disilluso.



Is This the Life We Really Want?

Ammetto che è il primo pezzo che inizialmente mi ha fatto storcere il naso, vero che ero condizionato dal fatto che lo stesso Roger Waters aveva detto “è quasi un rap” ed io ero molto preoccupato, invece alla fine è un brano moderno con un batteria che forse viene troppo ricalcata ma che gode di enfasi tutta sua.

Per chi non lo sapesse questo brano è il restyle di una poesia dello stesso scritta per un incontro in America, vorrei puntualizzare che l’intero disco prende di mira Donald Trump (si può sentire la voce all’inizio del magnate che parla con la stampa) in maniera diretta, ma che tutto il disco e quello che pensa Roger Waters si estende in tutta la politica, stati del mondo e società.

“…E ogni volta che uno studente viene travolto da un carro armato, E ogni volta che il cane di un pirata viene forzato alla passerella, Ogni volta che una moglie russa viene pubblicizzata come in vendita, E ogni volta che un giornalista viene lasciato a marcire in cella, Ogni volta che la vita di una giovane ragazza Si esaurisce con futilità, E ogni volta che uno sciocco diventa il presidente…”

Un ritmo incalzante preso di mira da suoni e ritmi quasi tribali in certi momenti, finisce “di colpo” per poter introdurre la canzone successiva.

Bird in a Gale

Una piccola canzone, forse la più ritmata che forse è quella messa più in disparte. “Bird in a gale” è un sunto di “The Wall”, “Welcome to the machine” e di “Animals”. Un pezzo costellato di suoni meccanici che mi hanno ricordato “On the run” con quel modo di cantare inconfondibile e crudo come se fosse la quarta parte di “Another brick in the wall“.

“Sono deboli o fredde al tatto? Le mie carezze sono state troppo gentili? Ti ho amato troppo?”



Un delirio, una corsa, un pezzo che va dritto al punto insieme alle ripetizioni al punto giusto dei rumori di fondo, tutto finisce con un’esplosione ed una risata isterica / compiaciuta…vi viene in mente qualcosa?

The Most Beautiful Girl In The World

Come accennavo prima, questo pezzo potrebbe essere musicalmente la reprise di “The last refugee“, una ballata lenta e delicata dove la batteria non disturba con le sue ritmate (a differenza dei pezzi più decisi), il coro finale molto minimale secondo me è perfetto, un degno finale per un pezzo che parla di una donna (appunto la più bella del mondo) che è morta per i suoi diritti “sotto un bulldozer”, una storia vera e toccante cara a Roger Waters.

“Casa, sto tornando a casa, Sono la vita che hai dato, Sono il bambino che hai salvato, Sono la promessa che hai fatto, Sono la donna che hai sempre aspettato”

Una canzone che paradossalmente potrebbe ricordare lo stile di David Gilmour (escluso assolo).

Smell the roses

Il primo singolo dell’album, il tripudio / tributo per i floydiani da sempre, “Smell the roses” è un alternarsi di echi di sonorità floydiane che vanno da “Welcome to the machine”, “Shine on you crazy diamond” fino ad “Pigs” e “Sheep” ma anche album meno recenti (oltre a parlare direttamente della Battersea Power Station).

Il testo significa “Goditi la vita” e lo dice paradossalmente raccontando realtà non proprio confortanti, ma è proprio questo il punto.



“Svegliati, e goditi la vita. Chiudi gli occhi e spera che questo vento non cambi…”

Un inno duro e puro con una voce straziante e decisa che fa ritornare indietro guardando avanti, difficilmente ti dimentichi di un pezzo così, non a caso un perfetto contenitore per un singolo musicale.

Wait for Her / Oceans Apart / A Part of Me Died

Siamo alla fine, le ultime tre canzoni compongono una suite unica, l’amore è in primo piano ma non deve essere necessariamente per una donna o un uomo, si parla indirettamente di amore universale, di un amore cosciente ed incosciente, credo che sia li che Roger Waters voglia epicamente arrivare.

Wait for Her

La suite inizia con un piccolo e semplice giro di piano, molto delicato, che verrà riproposto anche su chitarra acustica durante i tre pezzi, un riff che mi ha emozionato dal primo ascolto e che con l’aria toccante riassume ancora meglio con il suono le parole (importantissime e dolcissime) di Roger Waters.

“E se verrà presto, Aspettala, E se verrà tardi, Aspetta”

“Wait for her” è una canzone completa, secondo me non ha bisogno di altro, non ha bisogno di assoli, non ha bisogno di interpretazioni generali in quanto quello che vuole dire è molto personale ed ognuno lo può (deve) interpretare come vuole.

Una culla che ti porta al pezzo successivo che “neanche te ne accorgi“, non ci toglierei e aggiungerei nulla.



Oceans Apart

Pezzo che non arriva ai due minuti, una sorta di intermission per la parte finale del finale del disco.

“Eravamo sconosciuti, Oceani divisi, Ma quando posai gli occhi su di lei, Una parte di me morì.”

Dopotutto che cos’è l’amore? Si vince o si perde? morire è sempre una sconfitta? ci saranno rimpianti? Io sono di parte, ma un pezzo che suscita tante domande e non da risposte (facendoti riflettere) mi riporta a Gaber / Pasolini.

Musicalmente la continuazione del pezzo precedente.

A Part of Me Died

Finiamo così. Un amico che aveva gia ascoltato questo disco prima di me per non svelarmelo prima, per questo pezzo ha solo detto “qui c’è la solita lista di cose di Roger…” e ha centrato in pieno.

Qui il riff di piano si interseca con tante parole cullate da Roger Waters alla sua maniera, non fa mancare niente e dice tutto quello che in teoria tutti noi non abbiamo mai il coraggio di ammettere fino in fondo, (ipocrisia? Si, ipocrisia!), forse il finale è scontato ma annullare i rimpianti è vitale più che importante, la questione non è che l’amore vince su tutto ecc ecc ecc, il punto è che bisogna credere in qualcosa, qualunque cosa sia, fine.



“Portatemi la mia ultima sigaretta: E’ di gran lunga migliore morire tra le sue braccia, che tirare avanti in un’esistenza di rimpianti.”

E quindi?

roger waters deja vu

Un disco prodotto da Godrich (U2, Paul McCartney, Radiohead) che ha peccato sicuramente su un suono che mette poco in risalto la voce di Roger Waters (i noti problemi di compressione mi hanno deluso parecchio ancora di più per l’importanza del disco, insomma!), ci sono suoni se vogliamo “strani” e moderni a cui potremmo non essere abituati, ci sono pezzi che si mettono completamente in gioco ed altri che si rifanno al passato senza rimpianti.

A me questo disco piace molto, non è il migliore di Waters ma lo giudico comunque nel suo piccolo un capolavoro (ripeto: nel suo “piccolo”), un disco completo che spero non sia l’ultimo, che va ascoltato e riascoltato con testi alla mano, almeno inizialmente, un disco pieno di significato e cha piangere, delirare, che ci disillude e ci deprime per quanta verità dice, è proprio per questo che io odio Roger Waters.

Quindi “Is this the life we really want?” è un disco amato e odiato da molti come è normale e giusto che sia: non sono presenti assoli (rimpiangiamo David GIlmour), non è presente David Gilmour (rimpiangiamo i Pink Floyd), non è come “Amused to death” (rimpiangiamo il passato): decidetevi, non la volete anche voi un’esistenza senza rimpianti?.

Alla prossima 🙂

Davide Franchini