Il prezzo da Pagare di Enrico Ruggeri – Pnlegge 2016



Pordenone, 16 settembre 2016

C’è una sostanziale differenza tra scrivere una canzone e un romanzo. La canzone è un veicolo comunicativo meraviglioso, ma impone di stare dentro alle regole della metrica, della strofa, dell’inciso, della sintesi, le canzoni devono durare poco. Alcune cose restano imprigionate nella penna”.

Esordisce così l’attesissimo ospite di venerdì sera a Pordenonelegge, Enrico Ruggeri. “Non è raro che i cantautori ad un certo punto sentano l’esigenza di allargarsi un po’, di scrivere un libro”. Ci ha messo un po’ a decidersi, lo dice “ci ho messo cautela. In una realtà in cui le persone che scrivono sono quasi di più di quelle che leggono, devo starci attento, a scrivere un libro”: Anche perché ci sono cantanti che a 21 anni hanno già scritto la loro biografia“, e dopo uno scroscio di risate continua “è difficile essere credibili. Dopo i primi libri avevo bisogno di capire se mi pubblicavano solo perché ero già famoso, seppur in un altro campo. Il mio ego si è gonfiato quando la Feltrinelli ha deciso di pubblicare la bozza anonima di un ragazzo sconosciuto. La buona notizia che ignoravano era che non ero sconosciuto, quella brutta che non ero un ragazzo”.



Pordenonelegge 2016 - www.davidefranchini - Photo by Davide Franchini MULTIMEDIA
Pordenonelegge 2016 – www.davidefranchini – Photo by Davide Franchini MULTIMEDIA

 

E’ stato un Enrico Ruggeri inedito quello salito sul palco di Pordenonelegge, almeno per chi è abituato a riconoscerlo come cantantautore. Voce inconfondibile, profonda, roca, timbro che non ti dimentichi, accento milanese, linguaggio popolare, amichevole tra le espressioni raffinate, di chi ha conosciuto le parole dentro i libri. “Le persone della mia generazione hanno letto tanto, oggi le canzoni le scrivono analfabeti, testi che sono microcosmi e non vanno oltre”. L’ironia leggera, la risata che spesso fa scappare tra il pubblico, si fondono a significati sublimi. Stai lì ad ascoltarlo e vorresti che non smettesse di parlare. Di raccontarti di Gaber, di Jannacci, e di Faletti che gli ha insegnato i trucchetti della scrittura, di come li immagina lassù a ridere insieme. Ti soffermi su quella verità che ti dice senza tanti filtri, diretta, schietta “è più facile essere persone nobili quando tutto va bene”. E impari mentre parla del gossip, degli abusi di potere, della monetizzazione della fama, della tv, di quel mondo così competitivo, unico, crudele dal quale ogni tanto è meglio prendere le distanze, chiedendo cosa sia capace di fare la starletta del momento. Se a Milano non ci sei mai stato, te la immagini dalle sue parole “Porta Romana è un quartiere dove mi salutano in quando figlio della signora Clara, non in quanto famoso. E’ un luogo fuori dal circuito, dove chi muore lascia la casa ai figli”.

Il romanzo si ambienta lì, “la prima regola è scrivere di ciò che si conosce. Ambiento i miei libri all’interno di una decina di metri quadrati, scrivo di personaggi che conosco”. Parla dei suoi personaggi, del suo commissario un pò sovrappeso, paziente e capace di ascoltare, che simpatizza per personaggi perdenti e la sera vorrebbe tutta la famiglia riunita intorno alla tavola. Intrappolato in un omicidio il venerdì di Pasqua, non potrà accompagnare la moglie in vacanza. Descrive la sua vittima, una ragazza carina che non è capace di fare nulla ma in compenso ci sa fare e ha qualche amicizia influente, così vulnerabilmente esposta nel marasma dello showbiz, l’industria che mercifica corpi, spettacolarizza tutto ciò che è commerciabile.



Pordenonelegge 2016 - www.davidefranchini - Photo by Davide Franchini MULTIMEDIA
Pordenonelegge 2016 – www.davidefranchini – Photo by Davide Franchini MULTIMEDIA

 

Incluso il dolore. Accenna alla sua partecipazione al programma televisivo “Mistero”, della trasfigurazione televisiva del dramma. Anche se forse non c’è da stupirsi più di tanto. “Il mondo è pieno di mostri. Ognuno di noi è un piccolo mostro con le nostre patologie, è una cosa inquietante ma anche interessante”. “Dicono che tutti dovremmo andare da psicologi e psichiatri. Io non l’ho mai fatto perchè resto convinto che certe porte non dovrebbero mai essere aperte”. Saluta il popolo dei lettori parlando delle vacanze, che non fa mai, perchè si sente in colpa se improduttivo per un pomeriggio, anche se il calcio è un’eccezione:il pallone è il modo che abbiamo noi uomini per tenere vivo il bambino che c’è in noi. Cadono le barriere sociali, ho litigato come un ragazzino con manovali e notai per un fallo.

SP